“Quante aurore, meriggi e tramonti sono stati assorbiti da questo luogo, che pare il simbolo dello spazio infinito e della luce?”
Se gli uomini sapessero guardare, chissà quante volte avrebbero modo d’incontrarsi con la poesia e la bellezza. Poiché la poesia più vera è quella della natura, nei suoi elementi costitutivi, nelle sue manifestazioni meno appariscenti, oltre che in molti altri motivi inseritivi dall’uomo. Gli alberi che mettono le prime timide gemme, lo stormire delle fronde, la distesa dei prati ammorbiditi dall’erba nuova, il viottolo tra i prati, una siepe, il vecchio albero stanco, un solo cipresso sulla sommità di una collina, la vena d’acqua che scorre lenta, lenta in un fossatello, la violinata del grillo. Tutte cose che di solito vengono trascurate o guardate ed ascoltate soltanto in superficie, con indifferenza. Non è questa la maniera migliore per comprendere e amare. La poesia è viva dappertutto, ma si rivela solo a chi la sa cercare. Come ogni angolo della nostra città, molti luoghi della periferia hanno un complesso di occasioni liriche che parlano all’anima, secondo una legge universale.
A pochi chilometri dal centro, dopo aver percorso un viale fiancheggiato da alti e candidi pioppi del Canadà, s’incontra la villa Zileri al “Biron”, una della cose costruite dall’uomo ed inserita in una località ricca di pregi naturali, dove la leggiadria scaturisce dagli alberi, dai prati e dalle colline vicinissime. E’ addossata ad un’altura assai ricca di vegetazione che costituisce il parco: frontalmente, un piccolo giardino con fiori e alberi maestosi, più in là una distesa di prati, sulla cui uniformità l’occhio si riposa prima d’elevarsi ad osservare le chiome trasparenti di alcuni pini italici disposti a capriccio sulla prateria. Nonostante si tratti di un edificio prettamente barocco, opera molto probabilmente del Muttoni, nell’interno ha pregevoli affreschi allegorici del Tiepolo. Non è una villa concepita da una grande architetto, manca quindi una distinzione d’arte, però acquista un tono tutto suo dall’insieme della natura nella quale è stata collocata, secondo il gusto del tempo. E’ uno dei tanti piccoli incantevoli “ritiri” del Vicentino, sempre uguali e sempre nuovi, dove è possibile pensare d’essere in un mondo diverso dal solito, senza rumori, lontani da qualsiasi faccenda e vicenda della quotidianità. A volte si prova quasi l’impressione d’un ritorno in un “tempo” non nostro, ma nel quale sarebbe molto più bello vivere, poiché vi aleggia una serenità tante volte agognata.
Per le stesse strade, per i medesimi viottoli, tra una natura più selvaggia, molti secoli prima di noi è certamente passato, osservando luci e colori, ombre e dettagli, Bartolomeo Montagna, [Bartolomeo Cincani detto Montagna fondatore della scuola pittorica di Vicenza | lestoriedimonteviale] il maggiore dei pittori vicentini, che ancora fanciullo venne e rimase a lungo in questi luoghi, presso uno zio. Sostava, forse, guardandosi intorno, osservando il cielo per meglio penetrare il segreto della luce, riandando mentalmente al senso esatto delle proporzioni, per riprodurre nelle sue tele le particolarità degli sfondi, il movimento impercettibile della vita della natura, il colore degli alberi e dei prati, delle acque correnti e di quelle immobili, della terra e della pietra che affiora dai boscosi pendii delle alture circostanti. Anch’egli guardava per comprendere, come noi, quel qualche cosa d’indefinibile che per lui era il colore, movimento, e per noi intima dolcezza, ricerca di tranquillità nella bellezza dei luoghi e nel consolante profilo delle cose. (Rino Bigarella “Colloqui con Vicenza – Tipografia G. Rumor – 1951 – Premessa di Piero Nardi)
Scritto oltre settanta anni fa, “Colloqui con Vicenza” è stato definito una guida sentimentale della città tanto è l’amore espresso dall’autore Rino Bigarella attraverso le descrizioni dei palazzi, delle vie, delle chiese di Vicenza: un’ appassionata sinfonia che Piero Nardi, nella “Premessa”, suggerisce di ascoltare per lasciarci suggestionare.