Alessandro Zileri Dal Verme un giovane giramondo

(PG) Recentemente, sulla pagina Facebook del Museo d’Arte Orientale di Venezia, è stata postata una fotografia che ritrae il Conte di Bardi, Enrico di Borbone Parma, la sua consorte, Aldegonda di Braganza, e, tra i due, il conte Alessandro Zileri Dal Verme.

Approfittiamo della condivisione per l’uso di questo blog ovvero raccontare il particolare viaggio che coinvolse il sindaco di Monteviale e, così facendo, rammentarne la figura.

estate 1889 Yokohama studio Farsari – partendo da sinistra Enrico di Borbone conte di Bardi, Alessandro Zileri Dal Verme – Aldegonda di Braganza (Foto tratta dalla pagina Fb del Museo di Arte orientale di Venezia)

Per i vicentini inoltre, questo scatto fotografico è particolarmente importante: fu ripreso nel rinomato studio fotografico di Yokohama, Giappone, aperto dal vicentino Adolfo Farsari (per chi volesse conoscere la vita di questo fotografo, consigliamo il libro “Un vicentino nel Giappone dell’Ottocento”).

 

 

Enrico di Borbone Parma era cugino da parte materna di Alessandro Zileri. La loro comune nonna materna, Maria Carolina di Borbone, vedova di Barry, nel 1844 si era stabilita a Venezia dove aveva acquistato il palazzo Vendramin-Calergi (oggi sede del Casinò di Venezia). Così come più tardi fecero i figli  Enrico, duca di Chambord, con Palazzo Cavalli a San Vidal e la figlia Luisa Maria, duchessa di Parma, con Palazzo Giustinian Lolin.  Enrico di Borbone amava l’Italia e soprattutto Venezia dove aveva passato tanti bei giorni della sua infanzia e della sua adolescenza accanto alla mamma e alla nonna (il padre, Carlo III duca di Parma, era stato assassinato il 24 marzo 1854 da Antonio Marra) e dove dal precettore italiano, pittore Rossi, aveva avuto le prime nozioni d’arte. Dopo la morte della madre nel 1864, ereditò palazzo Lolin che però vendette nel 1877, ma continuò a soggiornare a Venezia approfittando dell’ospitalità degli zii e cugini Lucchesi Palli che, alla morte della nonna Maria Carolina di Borbone, nel 1870 avevano ereditato Palazzo Vendramin Calergi e vi trascorrevano l’inverno e la primavera. Nel 1883, alla morte dello zio Enrico duca di Chambord, nel ricevere i legati testamentali, Enrico vide accrescere notevolmente la sua già cospicua sostanza che gli consentì di intraprendere i suoi viaggi e assolvere alla sua curiosità.

Palazzo Vendramin Calergi

” [… ]Fra i numerosi eredi delle grandi famiglie dell’aristocrazia europea che visitarono il Giappone negli anni della sua repentina apertura al mondo, vi fu anche Enrico II di Borbone, conte di Bardi, fratello minore dell’ultimo regnante del ducato di Parma. Nato nel 1851, dopo l’armistizio di Villafranca si trasferì a Venezia con la madre, subendo solo in modo sostanzialmente indiretto le convulse vicende della sua famiglia che, malgrado la perdita del trono, continuò a beneficiare di un considerevole patrimonio che permise ai numerosi discendenti di vivere per lungo tempo agiatamente di rendita. Sposato dapprima con la principessa Maria Luisa, figlia del Re Ferdinando II delle Due Sicilie, che morì giovanissima nel 1873, Enrico si risposò nel 1876 con la principessa Aldegonda di Braganza, figlia del re Michele del Portogallo, donna curiosa, intelligente e più attenta alle finanze di casa di quanto risulta fosse il marito. Appassionato viaggiatore e personaggio dallo spirito estroverso, Enrico decise di compiere un lungo giro del mondo, che si svolse fra il 16 settembre 1887 e il 15 dicembre 1889 e di cui il Giappone rappresentò una delle tappe più lunghe: ben sette mesi tra il 22 febbraio e il 28 settembre 1889. Insieme a lui viaggiarono la consorte Aldegonda e un piccolo seguito, di cui anche l’attendente, conte Alessandro Zileri Dal Verme degli Obbizi, che tenne un diario di viaggio da cui, insieme alle lettere di Aldegonda alla cognata Margherita, sorella di Enrico e primogenita del duca Carlo III, possiamo oggi ricavare numerose interessanti informazioni.[…]” (dal libro “Giappone segreto”)

Il conte di Enrico e la consorte avevano già intrapreso un viaggio nel 1885 accompagnati, come sempre, da un gruppo di gentiluomini: con lo yacht di proprietà l’Aldegonda si diressero verso le Indie Occidentali, dove si trattennero fino a metà del 1886 visitando le Antille, il Messico, l’America Centrale, il Venezuela e la Guyana.
Lo yacht “Aldegonda”
La cabina dello Yacht (dal libro “Viertausend Meilen unter Sturmsegeln”)

 

 

 

 

 

 

“[…] Erano quelli gli anni in cui in Occidente imperava il Giapponismo, quella sorta di febbre d’Oriente che per molto tempo colpisce tutta la cultura occidentale. Enrico tiene, durante il viaggio, un diario che, a partire da Sumatra, affida ad Alessandro Zileri. Il primo giorno annota: “Trieste – Alessandria 19 settembre, lunedì…alle 7 p.m. la notte e la lontananza ci nascondono l’ultima terra d’Europa, la rivedrò? Cosa succederà sino a quel momento? Dio solo lo sa – che ci protegga- così come protegga tutti coloro che amiamo e che lasciamo in Europa…Vorrei già essere di ritorno e tuttavia vorrei vedere il mondo a me sconosciuto. Sarà probabilmente l’Islanda dove noi saluteremo di nuovo l’Europa. Eccoci veramente partiti per il giro del mondo”.[…]” (dal libro “Da Istanbul a Yokohama”)

 

“[…]La coppia si era imbarcata sull’Ettore a Trieste il 16 settembre 1887 insieme al conte Enrico Lucchesi Palli, il conte Alessandro Zileri Dal Verme, la baronessa Hertling e due aiutanti domestici (Marie Somier e Francis un domestico indiano). In Egitto, raggiunsero il barone Heydebran, che aveva lasciato il principe Enrico la settimana precedente. A bordo della “Conrad” navigarono attraverso il canale di Suez, Bab el-Mandeb, il golfo di Aden e gli atolli a nord delle isole Maldive. Dopo 19 giorni di navigazione continua finalmente raggiunsero la città di Padang nella regione Ovest di Sumatra (Indonesia). Durante il loro viaggio visitarono Java, l’Indocina francese, il Siam, la Malesia, il Borneo, le isole Maluku, la Nuova Guinea e la Cina e alla fine il Giappone. Da dove viaggiarono verso le Hawaii. Poi navigarono attraverso il Pacifico diretti nel Nord America dove visitarono San Francisco, Montreal, le Cascate del Niagara, Chicago, New York e Boston.[…]” (dal libro “The tradition of Edo creativity” – “The voundros collection of Prince Henry of Bourbon”)

Lo stesso scatto fotografico, ma colorato. (Foto tratta dal libro “Giappone segreto – Capolavori della fotografia dell’Ottocento”)

” […] Il viaggio si svolse in forma strettamente privata, come il cronista sottolinea spesso, ma il principe venne ovunque accolto e festeggiato dalla autorità locali come un ospite di riguardo. Le accoglienze che gli furono riservate a Tokyo furono quelle dovute a un ambasciatore più che a un ospite illustre. Oltre ad essere ricevuto a corte, l’imperatore stesso, circostanza del tutto eccezionale, si recò a far visita al principe di Borbone nella residenza estiva che gli era stata assegnata nella capitale, probabilmente a sottolineare i particolari legami di amicizia e di interazione che allora intercorrevano con tra la casa d’Austria e il Giappone.[…]” (dal libro “Museo d’Arte orientale di Venezia”)

1887 Enrico di Borbone e il suo seguito ritratti con il governatore di Hong Kong. Alessandro Zileri è in piedi col cappello (Foto dal libro “Museo d’Arte Orientale di Venezia”)

“[…] Giunti a Hong Kong, con una nave a vapore della P&O Line, i principi sbarcano a Nagasaki, città che fornisce loro una base logistica per una visita alle diverse località dell’isola di Kyushiu che dura quasi due mesi. Da qui la comitiva attraversa il Giappone verso nord, fermandosi in diverse città e luoghi celebri. Nei mesi di maggio e giugno Enrico e Aldegonda si spostano tra Kyoto e Tokyo utilizzando in gran parte l’asse viario del Nakasendo, l’antica strada che seguiva l’itinerario dell’entroterra, più impervia ma meno frequentata e più ricca di paesaggi e località tradizionali della parallela via costiera, il Tokaido, a quel tempo visibilmente trasformata dai segni della modernità. I due coniugi limitano il più possibile la permanenza a Tokyo, dove giungono il 24 giugno. Giudicano la città in gran parte europeizzata e devono sottostare loro malgrado a una continua serie d’ impegni ufficiali che li distolgono dal loro interesse principale, compreso il raro onore di una visita fatta loro dall’imperatore Meiji. La loro principale logistica è Yokohama, da dove visitano Kamakura, Akone, Atami e, a più riprese, altre località dell’isola di Honshu: a sud muovono nuovamente verso Kyoto e poi verso Kobe; a nord verso Nikko e altri luoghi celebri. A Yokohama i due principi e il loro attendente si fanno fotografare, in abiti giapponesi, negli studi di almeno due dei maggiori fotografi del tempo, Adolfo Farsari e Kusakabe Kimbei. Ai primi di settembre, Enrico e Aldegonda raggiungo l’Hokkaido, con la speranza di visitare i villaggi abitati dal popolo degli ainu che, ai loro occhi, rappresenta l’ultraesotica fra le mete. Ne rimarranno delusi, accertando l’avvenuta massiccia nipponizzazione dell’isola, seppure accompagnata da una relativa scarsità di occidentali, che appare ai loro occhi confortante. Da quanto traspare dalla lettura dei diari e delle lettere, ancora inediti, l’esperienza concreta che i due coniugi fanno della vita quotidiana in Giappone è soprattutto segnata dalla constatazione di una profonda e veloce occidentalizzazione del paese, il che riduce molto le aspettative esotiche che avevano accarezzato sulla base delle letture e delle informazioni raccolte prima della partenza. La reazione di Aldegonda sembra maggiormente critica e volge da una parte in cerca di relazioni meno formali con le persone più semplici, in qualche caso mettendosi nei panni dell’altro, e dall’altra sulla riflessione interiore sulla propria condizione e sulla realtà che l’aspetta una volta tornata in Europa. Da fervente cattolica, s’interessa delle locali comunità di credenti: incontra presti, catechisti e un gruppo di “cristiani nascosti” del villaggio di Urakami, compiacendosi delle donazioni alle comunità cattoliche, che giudica gli unici denari che abbiamo veramente un valore tra le spese cospicue fatte dal marito. Enrico invece sembra più interessato agli aspetti della modernità del paese e visita di buon grado scuole, fabbriche, arsenali e nuovi villaggi. Il fascino della cultura giapponese si trasforma in lui nel gusto di frequentare le case da tè, di partecipare alle cacce tradizionali e in una passione quasi ossessiva per le pitture, le sculture, le stampe xilografiche, gli oggetti d’arte applicata e le armi, che acquista in continuazione, anche con l’aiuto ( che alla fine si rivelerà piuttosto interessato) del barone Heinrich Jonkheer von Siebold, segretario della delegazione austroungarica a Tokyo. In particolare, von Siebold , che conosce bene il giapponese, accompagna Enrico nelle botteghe antiquarie e nel curio shop che costituiscono il luogo del maggio richiamo di una folla di collezionisti, d’appassionati d’arte di bibeloteur europei che sembrano, come il principe, attenuare l’ansia della scomparsa del Giappone tradizionale con l’acquisto di quanto rimane della grandezza del suo passato. La raccolta del principe Enrico, alla fine del viaggio, consterà di oltre trentamila oggetti, di cui oltre due terzi, giapponesi.[…] (dal libro “Giappone segreto”)

Racconta Farsari nel suo diario” […] Ho qui adesso il Conte di Bardi, principe Henry di Borbone, che ha un seguito di cinque conti e di non-conti, una follia. Lui e tutti i conti sono fotografi, e discretamente buoni; contuttociò il principe ha ordinato una cadauna dalla mie fotografie, e tutte colorite, in albums. Gli altri hanno ordinato 2, o 3, o 4 albums per ciascuno, senza contare il numero dei ritratti che ho presi di lui e sua moglie in costumi Giapponesi. Rimarranno tra qui e Tokyo sono i guests del governo per circa due mesi. Circa due mesi fa ho avuto il principe Henry d’Orleans, e anche lui e il suo servo erano fotografi. Ho avuto il GranDuca di Russia e anche lui fu un eccellente avventore. Da quando mi son fatto un nome, ho avuto tutti i più grandi personaggi che arrivarono in Giappone; e non feci lungo a farlo.[…]” (dal libro “Un vicentino nel Giappone dell’Ottocento”)

 

La meravigliosa collezione del Conte Enrico di Borbone e la costituzione del Museo

” […] E il Conte di Bardi volle farsi una collezione di oggetti d’arte e di curiosità etnografiche. Regali furono i mezzi ch’egli profuse a tale scopo, assistito negli acquisti dal consiglio sagace del barone di Sieboldt. Di mano in mano che gli oggetti, moltissimi di grande valore, venivano acquistati, erano imballati e spediti a Trieste per cura delle autorità diplomatiche e consolari austro-ungariche. Più di millecinquecento grandi casse furono così concentrate nel porto franco di Trieste, in attesa di disposizioni ulteriori. E le disposizioni non vennero fino a che il Principe, sul finire dell’89, non fu di ritorno in Europa. Egli rimase per qualche tempo incerto in base al luogo dove avrebbe potuto collocare l’imponente raccolta. La scelta pendeva dal castello di Chambord, che egli in comunione con il fratello Roberto, aveva ereditato da Enrico V, ed il palazzo Vendramin-Calergi di Venezia. Fu scelto quest’ultimo anche, forse, in considerazione della maggiore comodità che presentava il trasporto da Trieste a Venezia della preziosa suppellettile. Le collezioni furono sistemate nel vastissimo secondo piano del palazzo, e ordinate a cura del dott. Antonio Carrer. Quando, dopo alcuni anni, furono tutte ordinate al loro posto, il Conte di Bardi si trovò proprietario d’uno dei più ricchi e completi Musei d’arte orientale che esistessero al mondo. Giustamente orgoglioso delle sue raccolte, il Principe pensò allora di farne godere la popolazione della città che l’ospitava, Non solamente quindi egli lasciò libero accesso al suo Museo a tutto coloro che desideravano visitarlo, ma fece chieder confidenzialmente agli amministratori del Comune se essi fossero disposti a concedergli i locali dell’Esposizione Biennale internazionale d’arte fondata allora da un anno, per fare una mostra pubblica delle sue collezioni. Egli si sarebbe assunto tutte le spese di trasporto, di collocamento e di sgombero a mostra terminata, e proponeva che ai visitatori fosse imposta una tassa di ingresso, l’importo della quale sarebbe stato devoluto totalmente ad opere cittadine di beneficienza. La proposta, forse riferita male agli amministratori del Comune, o non compresa, non fu accettata. Il rifiuto del Comune, al quale egli aveva in animo un giorno di fare donazione delle sue preziose raccolte, dispiacque molto al Principe. Tuttavia non le mandò nel castello di Chambord. Gli parve, invece, che Cà Vendramin-Callergi non fosse sufficientemente ampia per contenere le sue collezioni e i suoi appartamenti, e perciò si fece costruire una palazzina a San Simeone Profeta. Non l’abitò quasi affatto. La vendette poco dopo che ne era stata compiuta la costruzione al conte Costantino Nigra e, malato e stanco, andò a stabilirsi a Mentone, dove morì il 14 agosto 1906. […]”  (dall’articolo di Elio Zorzi)

Dal momento della morte del conte inizia un’altra “storia”, quella della sua sterminata collezione che, in parte, andrà a costituire il Museo d’Arte Orientale di Venezia. Già il conte, negli ultimi anni della sua vita, si era privato di alcuni oggetti per farne dono agli amici. Alla morte del marito, Aldegonda decise di vendere tutta la collezione e chiese la consulenza di esperti per la stesura del catalogo della raccolta. Già alla fine del 1906 liquidò tutto, cedendolo ad una ditta di Vienna diretta da Franz Trau che, a sua volta, lo offerse al governo italiano chiedendo una commissione. Il governo non fu in grado di effettuare l’acquisto e, nei successivi sei-otto anni,  pur restando depositati a Venezia, Trau  cominciò a vendere, pezzo per pezzo, oltre quattromila pezzi  che trovarono spazio al British Museam, al Museo di Boston, nelle collezioni pubbliche e private d’Europa, d’America e persino del Giappone. Sopravvenne la guerra, le vendite furono sospese e la raccolta fu posta sotto sequestro perché appartenente ad un suddito di stato nemico. Alla conclusione della pace, per la clausole della trattato di Saint Germain, la proprietà delle collezione venne riconosciuta al governo italiano. Il dott. Nino Barbantini, direttore della Galleria nazionale di Arte Moderna, propose di collocare la raccolta all’ultimo piano di Palazzo Pesaro che era stato donato al Comune nel 1898 dalla duchessa Felicita Bevilacqua proprio con destinazione artistica. Dopo una definitiva sistemazione dell’ultimo piano, il Ministero della Pubblica Istruzione incaricò il dott. Barbantini all’ordinamento delle raccolte. Il Museo fu inaugurato nel pomeriggio del 3 maggio 1928 e, ancora oggi, rappresenta il più ricco e il più completo museo di arte orientale italiano.

dalla rivista “La città di Venezia 1928”
Cà Pesaro
1910 conte Alessandro Zileri Dal Verme (Foto dalla rivista “Pro Familia” – archivio Paola Groppo)

Alessandro Zileri Dal Verme, figlio di Camillo Zileri e Clementina Lucchesi Palli, nacque il 24 agosto 1863 a Bruunsee (Stiria) Austria nel castello, residenza della famiglia materna. Fratello di Enrico, Roberto, Luchino, Graziella e Francesca. Il padre Camillo divenne erede delle proprietà Loschi del Biron dopo la morte della zia Drusilla Dal Verme. Dottore in scienze agrarie, laureando in medicina, fu uno dei protagonisti della lunga e discussa vicenda del trasferimento degli uffici municipali da Gambugliano a Monteviale per i quali rivestì l’incarico di sindaco, nel 1902-1905 nel primo, e nel 1920-1925, nel secondo. Insieme al fratello Roberto, fu protagonista della scena politica cittadina rivestendo molti incarichi importanti: consigliere del Comune e della Deputazione Provinciale di Vicenza, presidente della Banca Cattolica, presidente della Federazione Bancaria Italiana, del Credito Nazionale, dell’Unione Agricola Vicentina, della Società Frutteti Cogo, vice presidente della Società Tramvie Vicentine, del Sindacato Industriale Veneto e della Società Veneta Concimi Cita, componente della Direzione Diocesana, socio fondatore del partito popolare vicentino. Il 16 ottobre 1899 sposò Bianca dei Marchesi Carrega dei Principi di Lucedio, non ebbe eredi. Morì a Vicenza il 29 dicembre 1937, è sepolto nella cappella di famiglia nel cimitero cittadino.

Alcune curiosità:

il conte Alessandro Zileri fu insignito dei titoli di “Commendatore dell’Ordine del Sol Levante” –  “Grande Ufficiale dell’Ordine di Kalatrawa” -“Commendatore dell’Ordine della Corona del Siam”;

in base a quanto ricostruito dal ricercatore storico e autore vicentino Walter Stefani, nel novembre del 1920 (il 29?) sembra che Giacomo Puccini, in quel periodo impegnato nella realizzazione dell’opera “Turandot”, venne a Vicenza per una breve visita anche per incontrare il conte Alessandro: “il musicista avrà avuto avuto occasione di apprendere dal conte Alessandro utili informazioni circa usi e costumi della Cina, nonché di visionare vari oggetti originali portati a Vicenza in gran quantità dal nobile.” (articolo di Walter Stefani Il Giornale di Vicenza 13 gennaio 2009);

nella biblioteca di Villa Zileri al Biron è conservato il ritratto del conte Alessandro vestito con abiti tradizionali giapponesi.