Nella campagna al limitare dei confini con Vicenza, nella zona nominata “Pian delle Maddalene” esiste una imponente ed antica costruzione agricola che dà il nome alla via che collega il territorio di Monteviale appunto con “le Maddalene”: la Cà Nova.

E’ distante dal centro del paese e, anche per tale motivo, la sua storia si intreccia in maniera più forte al territorio vicentino di Monte Crocetta e a quello di Costabissara e alla campagna di Monteviale, ma è comunque importante e vale la pena di conoscerla meglio.
Per farlo attingiamo ad una bella pubblicazione di Gianlorenzo Ferrarotto “Il convento di S. Maria Maddalena”, riepilogata successivamente in un “opuscolo Dal Martello”

“…la costruzione fu eretta ex novo rispetto alle costruzioni esistenti per le mutate esigenze dei proprietari che qui conducevano il fondo agricolo. Ma quando fu costruita? Proveremo a ricostruirne le vicende attraverso la lettura della documentazione consultata in archivi pubblici differenti. Le prime notizie certe della presenza di questo edificio, o per essere più precisi, della casa colonica, le troviamo nell’estimo della città e territorio di Vicenza del 1655, dove il nobile veneziano Francesco Bertucci Contarini, allora proprietario delle campagne oggetto della nostra attenzione, dichiara di possedere tra gli altri beni, “una casa separata da canali appresso li suoi confini”. Ebbene, questa casa è il primo nucleo della Cà Nova. Nel 1702, i nuovi proprietari, il conte vicentino Lorenzo Marchesini e soprattutto il nipote Giorgio, subentratogli verso la metà del secolo nei possedimenti, si attivarono con vigore per migliorare la produttività dei terreni acquisiti. Ne sono testimonianza alcune suppliche (o domande) presentate ai magistrati veneziani nella seconda metà del ‘700 per ottenere le necessarie autorizzazioni. In alcuni disegni allegati a queste suppliche, tra cui in quello eseguito dal perito Steffano Foin il 23 settembre 1767, si vede ben delineata la Cà Nova, che però risulta ancora priva dell’ampio porticato tuttora visibile. Significa che solo in questo decennio, in seguito alle trasformazioni attuate da Giorgio Marchesini, la casa cominciò ad assumere la connotazione attuale. Perché? Perché la nuova costruzione ebbe un ruolo essenziale in particolare per la lavorazione del riso, coltura che il conte Marchesini volle attuare sfruttando al massimo una cinquantina di campi ancora paludosi e quindi scarsamente redditizi.

I risultati ottenuti con la nuova coltura evidentemente dovettero essere soddisfacenti, se è vero che per con-sentire la completa lavorazione di questo cereale, Giorgio Marchesini ottenne di poter costruire una pila da riso da usare all’occorrenza anche come molino, proprio a ridosso della Cà Nova, sfruttando l’acqua della roggia Barchessadora che allora aveva una portata sicuramente maggiore di quella attuale e circondava da tre lati l’edificio. Osservando attentamente un secondo disegno, quello dei periti Pietro Antonio Manton e Girolamo Soardi del 12 ottobre 1779 allegato alla supplica per investitura d’acqua che Giorgio Marchesini presentò a Venezia il 20 agosto precedente, si scopre che oltre alla casa colonica e l’annessa costruenda pila da riso, vi è tracciato lo spazio occupato dal grande porticato come ben evidenziato risulta anche il selciato. Questo permette di affermare che nel 1779 la grande barchessa era già stata completata e che, quindi, sia stata costruita nel decennio 1767 – 1777 per far fronte alle aumentate esigenze di immagazzinaggio del riso, del frumento, del granoturco e del miglio.

L’ampiezza della struttura fa presumere che il conte Marchesini avesse qui creato un centro di raccolta e lavorazione piuttosto importante e che conseguentemente vi lavorassero un numero di addetti al suo soldo alquanto rilevante. Di questa ampia struttura, ciò che balza subito all’occhio sono le dodici colonne che sorreggono la trave su cui poggia il tetto.
Normalmente i tetti dei porticati agricoli erano sostenuti da pilastri quadrati o rettangolari costruiti in mattoni di terracotta, meno costosi e più funzionali alle diverse esigenze collegate alla attività lavorativa agricola. Le colonne corinzie usate per la realizzazione di questa barchessa, invece, sono in pietra di Vicenza, tutte d’un pezzo, con basamento quadrato e capitello decorato in alto: caso più unico che raro nel panorama multiforme delle barchesse venete. Molto probabilmente originariamente non furono realizzate per sostenere il tetto di questo porticato agricolo: troppo costose e decisamente inusuali. Da dove provengono allora? Dare una risposta certa è francamente impossibile perché non esistono documenti consultabili relativi a questa costruzione, tali da fugare ogni dubbio. Procedendo per ipotesi, va anzitutto analizzata la figura del conte Giorgio Marchesini, nobile vicentino con palazzo in centro città, in contrà Busa S. Michele, la cui famiglia doveva godere di disponibilità finanziarie piuttosto rilevanti dimostrate dall’acquisto fatto delle cospicue proprietà terriere dallo zio Lorenzo. Non desti meraviglia, quindi, che egli abbia sfruttato, negli anni settanta del ’700, qualche personaggio nobile fortemente indebitato (era, ahimè, assai frequente in quegli anni prossimi alla caduta della Repubblica di Venezia) non più in grado di far fronte alle spese per pagare qualche architetto e i suoi scalpellini impegnati a realizzare per lui qualche sontuosa dimora chissà dove. E’ solo una ipotesi, suffragata tuttavia dal fatto che queste colonne sono alte quasi cinque metri e quindi erano state pensate e realizzate per dare eleganza e sontuosità a qualche costruzione patrizia, forse non vicentina: certamente non per un porticato agricolo. Considerata la situazione nel suo complesso, viene facile ipotizzare che il conte Marchesini abbia fatto un vero affare sfruttando le disgrazie altrui. Non resta che apprezzare l’insolita realizzazione, giunta fino a noi integra ed in stato di conservazione davvero eccellente, grazie anche all’intelligente e curato recupero effettuato dagli attuali proprietari, un ramo della famiglia Dal Martello, divenuti proprietari delle terre e degli edifici rustici che furono del conte Marchesini, sul finire del 1800.”