Api e farfalle al Biron nel XIX secolo

Diamo luogo nell’Annotatore friulano a questa lettera di un alunno della Scuola agraria di Vicenza, piacendone di vedere nei giovanetti educato lo spirito di osservazione e di confronto delle cose vedute e udite. Lessimo posteriormente qualche altra lettera di quei giovanetti ai loro genitori, i quali rendevano conto delle escursioni agrarie fatte nei dintorni, delle osservazioni fatte, dei discorsi tenuti col loro maestro, delle gentili accoglienze ricevute da qualche signore che ospitalmente li riceveva.

Vicenza li 14 dic. 1854
Giacché desideri sapere quali migliorie io abbia ritrovato in quest’anno nella Scuola d’Agricoltura di Vicenza, e brami avere qualche cenno sulla prima escursione agraria che io feci con i miei condiscepoli e col zelante mio Professore, eccomi presto a far paghe le oneste tue voglie. “Entrando nello stabilimento non vedi, come nell’anno andato, una nuda sala, ma invece tu scorgi una specie di Museo agrario, essendo questa attorniata da 40 specie di frumentone, portanti cinque ed anche sei pannocchie per ciascun gambo, cereale raccolto nel podere sperimentale nel trascorso anno. Salendo tre gratini tu entri in un camerino, da un lato ripieno di vasi contenenti diverse qualità di fiori con molta regolarità disposti, sopra cui stanno appese cipolle da semina, e dall’altro occupato da parecchie varietà di terre da giardino, da strumenti rurali che servono a lavorare il poderetto che ora si sta coltivando. Lasciando quella stanza, discendi una gradinata e ti trovi in una specie di sotterraneo, in cui sono disposte nella terra le barbabietole bianche, i cavoli, le carote, i cavoli rutabaga affinché si conservino nel verno. Di sopra a questo vi sono le stanze del maestro e dei scolari dozzinanti ed una piccola sala, dove vi sono due grandi scaffali, contenti uno le sementi di giardinaggio, d’agricoltura, e fra le seconde ci sono le varietà di fagiuoli fra ci ci ha anche quella che serve a fare il caffè, 24 specie di frumento fra le quali il Gigante di S.Elena, 5 varietà di sorgo rosso una delle quali è bianca e serve ad uso di minestra come si fa coll’orzo, 4 di avena, di fave, di lenti, ecc. ecc. Vi sono inoltre semi di orticoltura fra i quali venti specie di insalate, 4 di cicorie, 7 di meloni, 15 di zucche e 10 di patate. Nell’altro scaffale vi stanno diversi reagenti della Chimica Agraria, terre, sassi, marmi, carbon fossile , torba, marne, ecc. che servono allo studio della Geologia e della Mineralogia graria, ed inoltre varj istrumenti per la potatura, tra i quali il seghetto inventato dal nostro prof. avente i denti a foggia di lancetta, che serve benissimo a tagliare i rami freschi. Diverse valvole di sicurezza a fare il vino a tino chiuso, ed altri congegni, che costituiscono un piccolo museo di meccanica agraria. Vicino a questa è una stanza che serve all’insegnamento. Questa è attorniata da quatto grandi armadi di libri di botanica, di fisica, di chimica, di geologia; insomma di tutto ciò che si lega con l’insegnamento dell’agricoltura teorico-pratica; ed oltre a questi libri abbiamo otto giornali che ci fanno conoscere le novità di agricoltura e di commercio. Quest’anno il nostro Prof poté procurarsi il baco del ricino, e ne ha ricavate molte uova ch’ei dispensa ai dilettanti di questo genere d’industria. La mattina si studia teoricamente, nel dopo pranzo un’ora o due si fa pratica nel podere annesso, si ripetono le lezioni, indi parlando di cose utili, si fa una passeggiata. Ti assicuro, caro amico, che per poca voglia che uno abbia voglia di studiare, può in questa scuola uscire bravo e zelante agricoltore. Oltre a ciò il nostro buon maestro procura in ogni maniera possibile d’imprimerci quelle massime che nobilitano l’uomo e fra le principali l’onestà e la gentilezza, cose che certamente non sono curate da tutti i precettori. Giovedì abbiamo fatta la prima escursione e siamo andati nel paesello di Biron che sorge sopra una bella altura poco lungi dalla città. Cammin facendo il Prof ci parlò diffusamente della coltivazione dei pioppi e dei salici e di altre materie agricole, e così ragionando arrivammo al palazzo della Contessa Loschi, dove ammirammo una bellissima cedraia, non che parecchie piante esotiche, tra le quali parecchie mimose, il pruno della Lusitania, più magnolie grandiflore precoci, una sofara pendula, ecc. ecc. Salimmo il colle e a metà di questo vidimo alcuni alberi sempreverdi, tra i quali il cedro del Libano, e arrivati alla sommità salimmo sopra una specie di torricella, da cui dominano estese ed irrigate praterie cinte da alti pioppi e più lontano la città di Vicenza, poi vaghe colline popolate da modesti villaggi che formano un bellissimo panorama. Lasciammo quella torre da cui contemplammo tante magnifiche vedute, scendendo per un erto sentiero coperto di foglie di quercia, essendo il colle quasi tutto vestito alberi. Colà raccogliemmo delle piante per la scuola, il Prof. c’intrattenne ragionandoci di parecchi argomenti inerenti all’agraria e specialmente sulle benefiche api e su parecchi insetti infesti all’agricoltura.
Il palazzo della Contessa Loschi è tutto adorno di pitture ed ornati, e ciò che più ci sorprese fu il tempio di Bacco. Osservammo poi una bovaria di 60 vacche, ed un toro, che meno poche servono tutte a fruttificare, ed anche qui il nostro maestro ci parlò a lungo per addimostrarci gli avvantaggi che derivano all’economia rurale all’educazione dei bovini, e come senza questa industria non possa esservi prospera agricoltura, ed utile. Riserbandomi il piacere di scriverti più a lungo intorno a questa scuola un’altra volta, ti saluto caramente, e mi dico il tuo aff.to Amico T.Z.
Alunno della Scuola Agraria di Vicenza
Fonte: L’ Annotatore Friulano: Giornale di Agricolura, Arti e Commercio e Belle Lettere

 

NOTIZIE E FATTI INTERESSANTI
Un’invasione di farfalle
Il deputato Lioy scrive la seguente lettera al deputato Gueltrini, direttore de Il Giornale di Vicenza.

lo studioso vicentino Senatore Paolo Lioy

Caro Cesare,
La scorsa domenica (8 giugno), mentre partivo da Roma, leggevo sui giornali della capitale che il giorno prima si erano visti passare su qualche punto della campagna romana, immensi sciami di farfalle, così numerosi che il cielo ne pareva oscurato. Poi, durante il viaggio, ho potuto io stesso vederne, attraversando il Lazio, l’Umbria e la Toscana. Ora, mi si avverte che un fenomeno simile accade nelle nostre campagne. Farfalle della stessa specie che io l’altr’ieri raccoglievo presso le stazioni di Monte Rotondo, di Orvieto e di Arezzo, mi furono qui cortesemente recate dal Sig. Lovato e dal mio amico Giovanni Piovene, i quali le raccolsero il primo a Biron e a Monteviale, il secondo a Bolzano e a Lisiera. Entrambi osservarono le medesime turbe numerose e serrate, dal rapidissimo volo, ora altre, ora rasente terra, come appunto furono descritte nei giornali di Roma, ove già se ne parlava come di un nuovo malaugurio venuto ad aggiungersi ai tanti che già contristano la stagione perversa. Or queste farfalle appartengono ad una delle più leggiadre e comuni specie della nostra fauna (Vanessa cardui, Linn.), hanno anzi una zona di abitazione estesissima poiché vivono in gran parte in Europa, nell’Africa e nell’America settentrionale. I loro bruchi sono nerastri o grigi o rossicci, listati di giallo, portano settanta spine negli anelli, quattro per ciascuno nel secondo e nel terzo, due nell’ultimo. Solitari, sovente in piccole cellette di seta, stannosi sulle foglie dei cardi, dei carciofi, delle achillee, delle ortiche e, qualche volt, dei lupini e del lino, divorandone le parti più tenere. Le crisalidi sono ad angoli e a spigoli, dorate, con macchie più cariche, color d’oro e d’argento. Nel 1826 in Lombardia v’ebbe una vera invasione di dette farfalle; quei diligenti entomologi che sono i miei amici fratelli Villa ne fecero relazione in parecchi articoli. Forse fu questa stessa specie che con le torme innumerevoli atterrì
i Milanesi nel 1872; almeno i caratteri che ne dà il Giuliani corrispondo a capello. Straordinarie e complesse circostanze che hanno favorita una non meno straordinaria propagazione, inondazioni di estese zone di terreni, vicende atmosferiche, pertinacia di venti o di procelle, sono tutte cagioni che possono influire su codeste meravigliose apparizioni. Nel 1834 le farfalle del Leandro (Deilephila neiri, Linn.) gettaronsi in folla sulle campagne lombarde, e provenivano forse dai boschetti di leandri della Corsica e della Sardegna. Nel 1730 un’altra farfalla (l’Archerontia atropos, Linn.) a sciami innumerevoli invase la Bretagna. I fratelli Villa raccontano la invasione delle Vanesse del 1834; asseriscono che recarono notevoli guasti nella Lombardia; ma tale accusa deve senza dubbio girarsi ai bruchi che ne saranno pullulati l’anno dopo dalle uova deposte, poiché quelle innocenti farfalle non pensano che a fare all’amore e a nutrirsi dell’ambrosie dei fiori. E anche codesti bruchi, se si pensano alle piante delle quali si cibano non deggiono poi mettere troppo sgomento; ch’è a questi chiari di luna in cui c’è da temere pel frumento, pel mais, pei gelsi e per le viti, sarebbe ancora una bazza perdersi solo i cardi e i carciofi. Ben più temibile sarebbe qualche altra specie di Vanessa, per esempio la V. policioros Linn., le cui larve vivono nei frutteti. Poi alla Vanessa del cardo, che per gli splendidi colori è un gioiello di bellezza, i Francesi danno il nome di belle dame. E codesto nome non può essere mai di malaugurio. Passi finché si trattava, in Bretagna, dell’Acherontia! Questa, sul corsaletto ha disegnata una strana figura che rassomiglia a un teschio, e vi fu allora nei contadini grande spavento, e omelie di curati, e presagi di pestilenze. Ma per chi conosceva le abitudini della lugubre farfalla, anche allora era chiaro che, se qualche repubblica dovea temerne la straordinaria moltiplicazione, era soltanto la repubblica
delle api ove essa esercita le sue stragi.

Fonte: “L’Italia agricola” giornale del 1879

Colle S. Giorgio-Monte Cucco-Biron