Don Bortolo Fochesato – Il “prete santo” di Ignago

Titolo dell’articolo di Bruno Cozza

(PG) I recenti lavori di ristrutturazione della ex canonica di Ignago hanno riportato all’attenzione dei media  la figura di Don Bortolo Fochesato, importate personaggio della comunità isolana, ma anche in quella montevialese, che viene ricordato per la ultradecennale attività di aiuto e sostegno ai fedeli grazie anche alla sua particolare esperienza missionaria e forza di spirito tanto che, ancora oggi, il suo nome è legato ad alcuni aneddoti. Il compaesano Bruno Cozza, nell’opera narrativa prodotta attraverso la rivista della provincia “Vicenza”, nel 1964 lo ricordava attraverso l’episodio che in questi giorni è stato descritto più volte.

“… e l’auto del Vescovo si arrestò.
Figura sacerdotale fra le più venerande e singolari della nostra terra è certamente quella di Don Bortolo Fochesato, curato di Ignago, scomparso una trentina di anni fa, quasi in odore di santità dopo aver tracciato con lo stile personalissimo del suo ministero orme non caduche nel cuore e nel ricordo delle genti. A quel tempo Ignago contava circa 300 anime. Era una frazione sopra un cocuzzolo di monte, proteso verso i primi contrafforti delle prealpi: pochi casolari poveri e sperduti fra una folta vegetazione di castani a 12 chilometri da Vicenza, lungo la dorsale dei Castellari. Né oggi il paese è cambiato di molto quantunque sia divenuto più frequente meta di gite turistiche domenicali per la incantevole posizione panoramica e per le maggiori possibilità dei mezzi per accedervi, malgrado la precarietà delle strade in alcuni tratti ancora in completo abbandono.
Cartolina di Ignago (collezione Paola Groppo)
Ricordino di Don Bortolo Fochesato (da Isola e i suoi personaggi)
Alto, magro, capelli brizzolati e incolti, viso scavato e rugoso e voce profonda, modi grossolani, vestire trascurato: questo era in sintesi Don Bortolo Fochesato, vissuto sempre nella più squallida povertà con la semplicità di un eremita, nelle privazioni, dormendo su una misera branda, mortificando il corpo, quantunque gli venissero regalate cose di ogni genere e denaro, che le sue mani toccavano solo per poterli distribuirle ai poveri. 
Il suo motto era “ora et labora”. Si alzava al mattino ancora prima dell’alba, e subito in chiesa, in raccolta devozione elevava preghiera e celebrava funzioni religiose per poi affrettarsi al normale lavoro con i suoi operai, nelle miniere o nel cantiere edile. A sera faceva ritorno nella sua chiesetta da lui stesso ampliata e resa più decorosa. Come sacerdote era zelante, rigido, edificante nel compiere le opere del suo ministero, e talvolta, ancorché malandato in salute, si compiaceva di dire ” Quando chiamano il curato, è sempre pronto” . E così era di fatto, di giorno e di notte, incurante di ogni sacrificio e di ogni disagio. Non v’era persona bisognosa di conforto spirituale o materiale che ricorrendo a lui non venisse soddisfatta. Altrettanto largo e… imparziale era nei rimproveri in cui non faceva distinzione per chicchessia. Per questo era amato e larghissima era la sua popolarità e molti ricorrevano in suo aiuto in devota umiltà come davanti a un santo. Teresa, la sorella anziana che viveva con lui, era di indole buona; lo aiutava preparandogli da mangiare, accudendo alle faccende di casa, e ai servizi di ordine religioso, quali la sistemazione e la pulizia della chiesa. Ma Teresa era anche brontolona e spesso lo redarguiva anche con maniere brusche. Un giorno avendo trovato vuota la bottiglia dell’olio acquistato di recente (che doveva servire al condimento del piatto di cavoli che costituiva la solita cena frugale ma che egli per il troppo zelo aveva fatto sparire per donazione ai poveri) lo rimproverò con più accento del solito. Le risposte “Tasi ti, che se fossi stà ‘na dona par ben te te gavarissi zà maridà”- Una mattina Teresa ebbe l’amara sorpresa di trovare vuoto il pollaio e corse tutta sconvolta a comunicarlo a Don Bortolo. “Non stà tanto preoccuparte – risposte lui – che quele galine non le zè andà tanto lontan e se no altro i vegnerà a pagarmele”. Due giorni dopo i responsabili dovettero correre a chieder scusa e a rimborsare le spese per non morire di dolori viscerali. Non si contano le grazie ricevute e gli episodi anche leggendari fioriti sul pio sacerdote. Si narra che un giorno un vescovo giunse in auto sino ad Ignago e quivi entrò a far visita al curato. Sembra che il vescovo non avesse voluto accettare il caffè che don Bortolo, con cuore semplice, gli aveva offerto. Congedandosi il vescovo risalì sulla macchina, ma l’autista non riuscì a far avanzare il veicolo per la ripida discesa : l’auto correva solo in retromarcia. Era un fatto inconcepibile, sbalorditivo. Ma il vescovo capì e ritornato dal buon prete, e consumato il caffè, poté riprendere la via del ritorno. Numerosi come si è detto sono gli episodi di questo genere, in cui traspare quel qualcosa di eccezionale, che colpisce e stupisce l’animo dei devoti. e gli Ignaghesi ancor oggi ricordano con affetto e venerazione il loro antico curato, raccontando di lui fatti mirabili e tenendo esposta in ogni casa la sua effige.
Cartolina col ritratto di don B. Fochesato (collezione Paola Groppo)
Don Bortolo Fochesato morì a Ignago il 24 marzo 1933 e di quanta stima fosse circondato questo umile e grande sacerdote si ebbe attestazione ai suoi funerali, che furono imponenti poiché migliaia di persone di ogni ceto e condizione vollero prendervi parte. La sua tomba modesta nel cimitero di Ignago non è mai rimasta priva di fiori freschi deposti da mani amorevoli e pie, mentre per iniziativa dell’attuale parroco e a cura dei parrocchiani ci si accinge a dare più degna sepoltura alle spoglie mortali del buon curato.  

 

Quadro ricordo a Posina (da fb)

 

Rivista provinciale “VICENZA” numero marzo-aprile 1964

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– Il messaggio religioso che il curato voleva condividere con la sua gente non era soltanto quello ecclesiastico, ma quello della semplicità imposto dalle semplici condizioni di vita, dalla lotta alla fame, dalla incessante ricerca dell’improbabile lavoro, dalle innumerevoli fatiche quotidiane. La raffigurazione più cara lo ritrae infatti, non casualmente, “con la talare lisa, il cappellaccio in testa, la cazzuola nella mano destra e il breviario nella sinistra” . Per rimediare alle povertà della popolazione della collina aveva dato vita a una serie di ingegnose e impensabili attività, mettendo a frutto la sua stravagante inventiva e intraprendenza. Sulla base della sua esperienza americana aveva sondato il terreno e il sottosuolo della collina, appurando la presenza di scisti bituminosi e di lignite. La relativa utilizzabilità dei primi, in cui era presente in piccola quantità azoto organico che lo poteva rendere utile come concime, concentrò l’interesse del curato soprattutto sullo sfruttamento della lignite. Aprì così in vari punti della collina dei cantieri di estrazione del carbon fossile. Con lo scarto dell’essicazione della torba aveva ingegnato perfino una produzione di lucido da scarpe. Risulta difficile dare conto delle varie iniziative promosse dal bizzarro spirito di iniziativa di don Bortolo. Con sicurezza però tutto contribuiva a rafforzare il legame tra il prete e la sua gente. […] La sua fama, nel trentennale periodo di servizio presso la piccola comunità della collina, anziché tramontare andava via via progressivamente aumentando: dalla paternità di prodigi, all’attribuzione di poteri sovrannaturali e, infine, alle facoltà taumaturgiche. Nell’ultimo periodo della sua vita, nell’età dell’avanzante canizie, l’ossuto e ascetico curato fu trasformato dal vissuto collettivo popolare in santo, caratteristica che semplicemente riassumeva tutte le altre. –  (dal libro “Itinerario di una comunità” di Luigi Antonio Berlaffa)
retro della cartolina (collezione Paola Groppo)

 

Curiosità: chissà se in qualche modo, la vicissitudini di questo prelato diedero ispirazione a Goffredo Parise per tratteggiare la figura del parroco protagonista delle prime pagine del libro “La grande vacanza” ?