Il Castello di Monteviale

Video tratto dalla trasmissione Ulisse di Alberto Angela: Monteviale, forse, era una torre di guardia posta su una altura dominante la pianura.

Il brano seguente è un capitolo tratto dal libro “Monteviale – Dal tardo Medioevo alla fine dell’età moderna”, di Stefano Corato.

Il castello di Monteviale: dalle origini alla distruzione

La probabile origine del castello di Monteviale può essere datata all’inizio del X secolo, ma poiché le prime informazioni che le fonti ci restituiscono su questo manufatto risalgono solamente ai primi anni del ‘200, è bene precisare che per i primi tre secoli della sua storia si possono costruire solo congetture ed ipotesi. Per chi scrive è quindi d’obbligo usare cautela nelle deduzioni di sintesi che seguiranno, valorizzando le minime tracce documentarie a disposizione e tenendo sempre presente il carattere esclusivamente ipotetico delle affermazioni. Tuttavia per comprendere quali furono le motivazioni che portarono alla costruzione di questa fortificazione, risulta fin da subito necessario esporre per sommi capi gli avvenimenti storici che ne anticiparono la realizzazione.1 La calata dei Franchi in Italia (774) con la successiva sconfitta dei Longobardi, aveva trasformato l’assetto amministrativo di Vicenza da ducato a contea, e sul suo territorio si era costituito un comitato, come molti altri dell’Italia settentrionale, sottoposto all’impero carolingio. Questi comitati erano alle dipendenze dei conti che risiedevano nelle città ed esercitavano il governo e la difesa del territorio che l’imperatore aveva loro affidato in qualità di funzionari dello stato. Dopo la morte di Carlo Magno e la conseguente disgregazione dell’impero franco tra i suoi discendenti (l’ultimo dei Carolingi fu Carlo il Grosso, 887 d.C.), l’Italia si trovò al centro di lotte e contese per la corona, mentre il comitato di Vicenza aumentò la sua autonomia dal potere centrale e il conte si trovò investito di tutti i diritti, non solo quelli economici ma anche quelli giurisdizionali. Egli controllava una contea dalla dimensione di province attuali, e gli erano sottoposte anche le giurisdizioni dei nobili, del vescovo e dei monasteri, nonostante questi signori godessero già di qualche privilegio ed immunità. Nel 899 accadde però un fatto che avrebbe iniziato a far vacillare il potere e l’unità giuridica e territoriale del comitato. Si tratta dell’inizio delle reiterate incursioni ungariche che costellarono la prima metà del X secolo, seminando terrore nelle campagne, e spogliando le chiese e i monasteri delle loro allettanti ricchezze. Fu allora che ebbe inizio quel processo cosiddetto dell’incastellamento, nella disperata ricerca da parte dei sopravvissuti di protezione e sicurezza all’interno di insediamenti fortificati. Questo fenomeno si sviluppò velocemente, e fu lo stesso re Berengario I (898-924 d.C.) fin dal 911, quando emanò un diploma con cui accordava a Sibicone, vescovo di Padova, la facoltà di costruire castelli nella sua diocesi, ad accelerarne la marcia, concedendo anche ad altri signori locali la facoltà di erigere roccaforti nei villaggi del loro territorio. E così in pochi decenni le nostre campagne e colline si ricoprirono di castelli e chiese incastellate.2 Questo avvenimento accelerò il dissolvimento dell’antica unità territoriale e giurisdizionale del comitato carolingio di Vicenza, poiché i signori laici ed ecclesiastici con l’acquisto e la costruzione di castelli e la contemporanea acquisizione di diritti signorili su varie località della contea si affrancarono dall’autorità dei funzionari pubblici dell’impero. In modo particolare furono le sedi vescovili, già largamente beneficiate in età carolingia, ad accumulare terre e diritti anche nel periodo successivo, agevolate dalle ricche donazioni dei re italici, che cercavano il loro sostegno nelle lotte per la corona. In questo modo l’autorità del vescovo di Vicenza aumentò progressivamente, ed egli iniziò ad infeudare i suoi beni e a chiamare al suo vassallaggio le più importanti famiglie vicentine.3 Il periodo compreso tra il X e il XII secolo fu quello che vide la maggiore ricchezza e il maggiore potere dell’episcopio vicentino, soprattutto grazie alla sua politica filoimperiale. In questo processo fu coinvolto anche il territorio di Monteviale, poiché ben prestò rientrò tra le vaste terre accumulate dal vescovo.
Dopo queste premesse possiamo sostenere che anche il castello di Monteviale, come la grande maggioranza degli altri castelli che erano presenti sul territorio vicentino, fu costruito per proteggere gli abitanti di allora dalle frequenti incursioni degli Ungari.4 Tuttavia non dobbiamo immaginare questa costruzione come qualcosa di molto grande, munita di mura di cinta, rocca e fossato. Questo tipo di fortilizio, era spesso costituito da una torre quadrata di due o tre piani, costruita prima in legno e poi sempre più spesso in pietra, abbarbicata su un’ altura naturale o artificiale e circondata da palizzate. Esso rappresentava un’eccellente strumento di difesa militare piuttosto che una residenza fortificata del vassallo del signore, in tempo di emergenza impiegato dagli abitanti del villaggio come temporaneo rifugio trovandovi ricovero le donne e i bambini, mentre la parte superiore era riservata agli uomini che combattevano, e probabilmente, passato il pericolo delle aggressioni, utilizzato come deposito per i generi alimentari.5 Gli Ungari erano un popolo predatore, molto feroce, ma anche nomade. Proprio perché nomadi, le loro incursioni erano generalmente veloci e di breve durata; essi si limitavano a spogliare le chiese dei loro tesori e a razziare i villaggi, ma non disponevano di armi ed attrezzature adatte ad espugnare un’opera che fosse in qualche modo fortificata; prendevano solamente tutto quanto fosse facilmente a portata di mano. Costituivano un vero e proprio esercito di cavalieri mobilissimi, che attraversava periodicamente il territorio oggetto delle loro rapine; la loro attività di razzia rimaneva soprattutto legata ai percorsi stradali grandi e piccoli, e, per le esigenze stesse delle cavalcature, erano costretti a limitare i loro attacchi in determinati periodi stagionali. L’ungaro era un nemico che passava, rapinava e se ne andava: non solo non esprimeva di solito alcun interesse a diventare stanziale, ma non gradiva nemmeno l’ambiente collinare e montano, dove la manovra del cavallo si faceva difficile e pericolosa.6 I montevialesi di quel tempo, mal difesi e in continua sofferenza e pericolo a causa di queste incursioni, si accorsero però ben presto di queste loro specifiche caratteristiche, e come tutti i vicentini dell’epoca corsero al riparo, costruendo una struttura difensiva dove rinchiudersi in caso di pericolo con gli animali e con i beni essenziali. La collina, che in precedenza probabilmente non aveva mai ospitato insediamenti abitativi di una certa consistenza, divenne ben presto ricovero degli abitanti della campagna e del fondovalle, che in preda al terrore, abbandonarono le aree pianeggianti del Biron e della Valdiezza verso Sovizzo. Prese forma in questo modo il minuscolo villaggio (vicus) di Monteviale, difeso da una semplice palizzata in seguito rinforzata con pietre;7 la costruzione all’interno del recinto di una chiesa8 e l’innalzamento sulla sommità del sito di una torre, furono le successive fasi di un processo insediativo che si sarebbe poi strutturato in quella organizzazione agraria conosciuta come il modello della curtis.9 È quindi probabile che le prime difese del castello di Monteviale siano state erette dagli abitanti del villaggio dopo che il vescovo aveva ottenuto il privilegio di fortificare questo nuovo insediamento, oppure che l’iniziativa sia stata presa direttamente dai contadini e il signore ecclesiastico si sia limitato solamente a prendere atto di una situazione esistente, successivamente ratificata anche dall’autorità imperiale. Ovviamente tale modesta fortificazione era attrezzata per una permanenza breve: passato il pericolo, tutti uscivano e riprendevano la vita di prima riparando i danni o addirittura ricostruendo il villaggio che era raccolto ai piedi del castello e costituito da un sparuto gruppo di piccole case di legno e paglia circondate da orti e cortivi. Infatti il castello non aveva uno scopo di sbarramento, poiché si trovava ben lontano dalle più antiche ed importanti strade di comunicazione romane, ma doveva solo fornire un sicuro riparo al signore e agli abitanti del sottostante villaggio in caso di necessità. Inoltre considerata la posizione e le caratteristiche ove sorgeva, certamente non il punto più alto del territorio ma ben visibile da tutte le contrade, con poca disponibilità di spazio sulla sommità della collina, possiamo desumere che il castello non avesse nemmeno una grande importanza, e che nella sua forma originaria si trattasse di un’area recintata da un semplice fossato, attorno al quale si era innalzato uno spalto di terra battuta, rafforzato con opere sussidiarie di legno, niente di più che una rude struttura difensiva. Tuttavia la rozza muraglia di protezione che si sviluppava attorno al suo margine, e che da una recente fortuita scoperta appare anche di mediocre grossezza, e la torre che sorgeva nel punto più alto dello spazio, sono elementi che hanno qualificato quest’opera come qualcosa di più di un semplice muro di protezione; infatti nei documenti e nelle fonti storiche è stata sempre indicata con il termine castrum/castellum (castello).10 Il piazzale interno di questo manufatto non era piano, ma seguiva l’andamento del terreno, che discendeva tutt’intorno fino a raggiungere i piedi della cinta muraria, ed inoltre il rinvenimento dei ruderi di quest’ultima, che si trovano ben al di sotto dell’odierna piazza Libertà, ci dà l’idea di quanto più ripido fosse il colle nell’antichità. La presenza di uno degli elementi difensivi che circondava il castello ci viene assicurata invece da un toponimo che troviamo attestato nel territorio di Monteviale fin dal 1261: un’ importante investitura vescovile indica come località di dislocazione di alcuni appezzamenti la fracta castri.11 La fratta era un tipo di sistema difensivo, che consisteva in una fascia di terreno mantenuta ad arte fittamente boscosa ed intricata, in modo da risultare ad un estraneo un baluardo assolutamente impenetrabile, mentre chi risiedeva nel castello conosceva il sentiero celato dal bosco da percorrere naturalmente a piedi per raggiungere l’entrata del manufatto (anche questa logicamente nascosta).12 A mio avviso questo potrebbe significare che la prima strada (forse è meglio parlare di camminamento o sentiero, visto che non poteva essere percorsa nemmeno da un cavallo), che fu costruita per accedere al castello, lo raggiungeva salendo lungo le pendici della collina non dalla parte dell’attuale strada provinciale, bensì dalla parte del monte verso la zona della Costigiola. Questo versante della collina che si sviluppa a nord dell’attuale chiesa parrocchiale, è infatti la zona più tortuosa e ripida del colle, quindi all’epoca quella più idonea a mantenere una fracta, sfruttando sia il naturale incolto del bosco che ricopriva il pendio, sia stimolando la crescita di arbusti spinosi; inoltre rappresentava anche un punto di osservazione perfetto per profondità e ampiezza, dal quale si dominava la campagna sottostante per intero. Tutte queste caratteristiche erano fondamentali per gli abitanti del castello, in quanto assicuravano loro in caso di minaccia e di attacco, innanzitutto un controllo migliore sui viandanti che si avvicinavano alla porta principale della costruzione, ed inoltre rappresentava un punto di osservazione privilegiato per controllare le mosse del nemico e quindi porre in atto una più precisa strategia difensiva…Passato il periodo delle invasioni ungariche, qualcuno dei numerosi castelli che sorgevano sulle nostre terre, esaurito il suo compito difensivo, fu abbandonato e cadde in rovina, ma ciò non accadde a Monteviale, dove durante i secoli XI e XII la vita del villaggio si svolse prevalentemente all’interno del castello o nelle immediate vicinanze della cinta fortificata.15 Infatti pur essendo trascorsi i tempi delle invasioni, la vita fuori dal recinto difensivo presentava ancora elevati margini di insicurezza, poiché non mancavano di certo le scorrerie da parte di gruppi di predatori e briganti. Abbandonare il manufatto per spostarsi a vivere in aperta campagna o lungo il versante della collina, in posizione solitaria, era un rischio talmente grande che nessun contadino per un bel po’ di tempo fu disposto a correrlo. E così il castello da struttura puramente difensiva si trasformò in insediamento produttivo ed organizzativo del territorio. Contemporaneamente crebbe anche l’importanza della piccola chiesa o cappella che sorgeva all’interno, che iniziò ad acquisire maggiore dignità, affrancandosi parzialmente dalla pieve di origine, alla quale comunque rimase legata ancora per lungo tempo.16 Con il Concordato di Worms del 1122 tra il papa e l’imperatore, che poneva fine alla cosiddetta “lotta per le investiture”, e il trapasso dal regime comitale a quello comunale, sancito a Vicenza con l’insurrezione degli abitanti contro il vescovo Torengo, si aprì per il nostro territorio un periodo particolarmente turbolento. La guerra tra Padova e Vicenza, costellata da numerosi lutti e carestie, le lotte cittadine tra la fazione guelfa dei vivaresi e quella ghibellina dei conti, e la successiva guerra tra la lega dei comuni e il Barbarossa con la comparsa sulla scena politica degli Ezzelini, caratterizzarono uno dei periodi più drammatici della storia vicentina. Il castello di Monteviale troneggiava sull’alto della collina da quasi tre secoli, ma durante questo lunghissimo periodo il sito aveva ormai mutato aspetto. Con il rinnovamento delle tecniche agricole e il parziale miglioramento delle condizioni di vita dei contadini, anche il minuscolo villaggio si era ingrandito e il paesaggio che lo circondava si era nel frattempo adattato alle nuove esigenze degli abitanti e delle famiglie. Nei morbidi pendii della collina d’intorno, i terreni lavorati si erano estesi, i terrazzamenti ridotti a coltura moltiplicati, ed anche le strade d’accesso si erano trasformate. L’antico sentiero, di cui ancora oggi si intuiscono i contorni era stato abbandonato e con l’inizio dei primi timidi scambi commerciali con la città di Vicenza e la comparsa di un mulino ad acqua in località Bagnara,17 che rese inutili mortai e macine a braccia, risultò necessario per gli abitanti del castrum aprire un nuovo sentiero sufficientemente largo e sicuro da permettere il passaggio di un carro e degli animali che lo trainavano. Credo che questo nuovo percorso fosse l’attuale sentiero di via Bazza o quello poco lontano del monte Rana. Le fonti indicano inoltre la presenza di un’altra strada che raggiungeva le porte del castello. Si tratta dell’antico sentiero che abbandonando la strada chiamata all’epoca ungarica si snodava lungo le falde della collina, non dal versante che si getta verso la campagna del Biron, bensì dalla parte opposta verso Gambugliano. La strada ungarica a cui si riferisce un’antica pergamena, era infatti il percorso pedemontano situato sul lato sinistro della Valdiezza che attraversava la valle in tutta la sua lunghezza passando proprio ai piedi della collina di Monteviale. Nella zona che corrisponde all’attuale via Tovazzi, meno scoscesa e boscosa delle altre della valle, tra numerosi corsi d’acqua che scorrevano sinuosi, si staccava questo tracciato minore, che tra vallette, campi coltivati e dolci declivi raggiungeva il villaggio di Monteviale.18 Finalmente anche per il castello di Monteviale arrivò il riconoscimento dell’autorità imperiale. Nel 1210 infatti l’imperatore Ottone IV emanò un diploma con il quale confermò al vescovo Uberto, «cum omni iure et honore», il possesso di vari castelli. In questo documento per la prima volta venne indicato tra i castelli di proprietà vescovile anche quello di Monteviale.19 Questo tardivo riconoscimento della giurisdizione e delle relative prerogative comitali che il vescovo esercitava sulla contea di Monteviale già da moltissimo tempo, durò tuttavia solo per una decina d’anni, poiché già nel successivo privilegio imperiale di Federico II del 1220, non c’era già più traccia di Monteviale tra le ville incastellate controllate dal vescovo Zilberto. Non sappiamo quali furono le motivazioni che portarono l’autorità episcopale alla perdita dei diritti esercitati sul possesso di Monteviale. Forse anche alle terre vescovili montevialesi toccò la stessa sorte accaduta per le giurisdizioni di altre ville, e cioè il vescovo fu costretto ad alienarle a causa di debiti contratti dall’episcopio, oppure fu lo stesso comune cittadino che lo obbligò alla vendita. È probabile tuttavia che la vendita del castello di Monteviale sia avvenuta con una riserva di riscatto, poiché il papa Innocenzo III aveva espressamente proibito l’alienazione dei beni della Chiesa vicini alla città, e che successivamente il vescovo Manfredo, appartenente ad una famiglia molto fedele all’imperatore, nella sua opera di recupero dei beni ecclesiastici, sia riuscito ad incamerare nuovamente i diritti ed il possesso sulla nostra villa. Solo in questo modo possiamo comprendere il motivo per cui il castello si trovò poi coinvolto negli eventi bellici del 1240, che videro l’occupazione e la distruzione di alcuni castelli vescovili. Ma ci si stava ormai avvicinando al periodo di pieno apogeo ezzeliniano. Nel 1232 Ezzelino si era impadronito di Verona e nel 1236 anche Vicenza fu conquistata dalle truppe di Federico II, venendo abbandonata al saccheggio e agli incendi. Iniziò a questo punto sulla nostra città il governo di Ezzelino, un potere che fu incontrastato per oltre un ventennio. Fu proprio in questi anni che si inseriscono le vicende che riguardano la fine del castello di Monteviale. Infatti nel 1240 Vicenza si trovava sotto l’incubo di una pesante attesa; le vere intenzioni del tiranno non erano ancora ben chiare e la fazione a lui contraria confidava di trovare un’ intesa. A tal fine e per dimostrare la loro buona volontà di pace, alcuni nobili avevano “spontaneamente” ceduto i propri castelli ad Ezzelino e alla milizia imperiale, ai quali interessava non tanto disporre di punti di forza nel territorio, piuttosto di evitare l’occupazione di queste rocche ad opera dei ribelli, com’era avvenuto infatti per il castello di Monteviale.20 La nostra fortezza, non molto lontana dalla città di Vicenza, rappresentava un punto strategico di discreta importanza, e non potè sottrarsi al susseguirsi degli avvenimenti incalzanti e luttuosi di quei tempi, venendo ben presto coinvolta nelle contese sorte dagli antagonismi fra il partito comitale e quello vescovile. Come ci ricorda il Pagliarino, il castello era diventato già da parecchio tempo una fortificazione di alcuni ribelli guelfi vicentini, che si erano asserragliati al suo interno trovandovi rifugio dopo la distruzione della città, e questo gruppo di traditori, di cui il nostro cronista non riferisce però i nomi, rappresentava una minaccia per il da Romano.21 Più volte l’arroccamento difensivo sostenne l’assedio delle truppe ghibelline, ma alla fine il 16 agosto 1240 i vicentini, guidati dal podestà e luogotenente di Ezzelino Tebaldo Francesco, e dal vicario Rizzardo Fibaldini, ne attaccarono improvvisamente i bastioni meridionali, espugnandone le mura e distruggendolo.22

opera originale di Max Paggin 2019
Il castello di Monteviale ed Ezzelino da Romano