Si cercherà di spiegare che cosa fosse un oratorio pubblico di villa e che significato potesse avere tra il XVI e il XVIII secolo, periodo nel quale si riscontra una larga diffusione del fenomeno. Fino al XV secolo era privilegio delle confraternite e degli ordini monastici erigere oratori sia in città che in campagna, ma era proprio quest’ultima la destinazione preferita. Le chiesette rappresentavano un luogo di preghiera e devozione, erano sedi privilegiate di adunanze e di sepoltura. I maggiori promotori di questo tipo di architettura sacra furono proprio gli Ordini mendicati che forti dei loro diritti di predicazione, di amministrazione dei sacramenti e di sepoltura dei fedeli, preferivano esercitare la loro azione pastorale fuori dalle città, lontani dalle ingerenze dirette del vescovo. Infatti, nonostante il clero regolare dovesse rispondere solamente alla Santa Sede, il loro costruire conventi, chiese e oratori favorì comunque gli attriti con l’autorità ecclesiastica diocesana. Quello che interessa questo studio è proprio il diritto di erigere oratori pubblici, esonerati dal pagamento delle decime, cosa che fece proliferare nelle campagne la struttura dell’oratorio e ne creò un precedente storico nonché un modello “sociale” che venne poi perpetuato dai privati nei secoli successivi. Per modello sociale si intende quello che Tosco definisce come sociotopografia. Secondo questa teoria la struttura urbana doveva essere suddivisa in zone in base alla collocazione delle chiese parrocchiali.
La chiesa battesimale era il fulcro della vita amministrativa del quartiere dalla quale si distribuiva in modo capillare tutta una serie di arredi urbani come tabernacoli, cappelle, croci, edicole ed immagini votive. Questi elementi costituivano una vera e propria rete di punti di riferimento simbolici condivisi e vissuti dalla comunità stessa sia in ambito religioso che civile. La società non utilizzava questi edifici e arredi sacri esclusivamente per la loro espressa funzione liturgica o votiva, ma accorpava in essi diverse attività a seconda della loro collocazione all’interno del sistema insediativo. Così gli oratori pubblici, promossi prima dagli Ordini, poi da privati committenti acquisirono significati sempre più complessi; a causa della loro posizione marginale rispetto al centro urbano o alla chiesa parrocchiale del villaggio finirono per costituire un punto di riferimento centrale per il nucleo abitativo del contado, assumendo dunque quello stesso significato che poteva avere una chiesa vera e propria.
I fedeli instauravano con le immagini sacre e le statue dei santi cui era dedicata la chiesetta dei privilegiati rapporti devozionali che costituivano il collante dell’identità comunitaria. Nel periodo preso in esame da questo lavoro di ricerca, tra la fine del XVI secolo e fine della Serenisssima Repubblica, le campagne venete si presentavano costellate da queste chiesette campestri in cui la comunità rurale si riconosceva e si aggregava. Lo scopo per il quale i committenti continuavano a promuovere queste chiesette era celato sotto il buon proposito di indurre la comunità alla devozione facilitando loro l’adempimento al precetto festivo. In realtà le suppliche ufficiali rivolte al vescovo nascondevano vere e proprie ambizioni a controllare l’identità e l’aggregazione delle comunità rurali. Un oratorio diveniva un tempio di famiglia in cui tutti i membri della casata trovavano posto una volta defunti, nel quale tutta la comunità poteva riunirsi e continuare a pregare per loro. Un oratorio era un motivo di vanto, di prestigio che completava il complesso architettonico della villa anche della funzione sacra. […] Ecco allora che, alla luce dei fatti e dei dati, l’oratorio assume un significato non indifferente; rappresenta l’unico elemento dell’architettura adibito al sacro all’interno del complesso monumentale della villa, la quale dal canto suo, aspira sempre più a fare le veci della lontana città. In base a questa prospettiva appare anche più verosimile l’ipotesi che le famiglie si rivolgessero alle autorità competenti con delle scuse per ottenere una “giustificata” chiesetta da offrire al contado per il quale tali famiglie rappresentavano il punto di riferimento.
All’estremo sud della proprietà (di villa Checato) si trova una cappella, la cui facciata, rivolta verso l’esterno, è inquadrata da due paraste tuscaniche che reggono una trabeazione contratta, su cui è segnata la data «mdclxxi», e un frontone triangolare; un oculo trova posto sopra la porta d’ingresso, trabeata, con fregio pulvinato e frontone retto da mensole. L’interno è coperto da una volta lunettata su capitelli pensili e sopra l’altare, a marmi policromi, si trova una pala centinata di pittore vicentino legato a Francesco Maffei (Cevese 1971). I due ritratti di vescovi seicenteschi, un tempo alle pareti della cappella, si trovano ora in un salotto nell’ angolo orientale della villa.
L’oratorio è intitolato ai Santi Matteo, Anna e Giuseppe.
Fonti: Oratori di villa nella Diocesi di Vicenza – Tesi di Laurea –
Ville Venete Istituto regionale per le ville venete Marsilio