Nella ricorrenza odierna, Sant’Antonio da Padova, vengono consegnati alla memoria condivisa di questo blog i ricordi di un bambino che ricostruisce una parte della storia del capitello dedicato a questo Santo molto amato dai paesani. A corredo del testo, riceviamo anche una bellissima fotografia (anno ’47 ?) del capitello “seconda versione”.
Come sempre, invitiamo all’invio di memorie e o commenti relativi alla celebrazione paesana del 13 giugno.
I rapporti fra le persone, nei tempi seguenti la guerra [II° G.M.] erano difficili perché tutti erano segnati da fatti non facili da dimenticare. Queste tensioni però dovevano in qualche modo assopirsi e un gruppo di famiglie, abitanti in Via Roma [attuale via Don Girolamo Fortuna] , per assolvere ad un voto fatto a Sant’Antonio, si aggregarono nell’intento di elevare un capitello di ringraziamento. Avevano promesso di assolvere questo impegno de fossero stati risparmiati dalle temute violenze legate al transito delle truppe germaniche in ritirata. La fede in Sant’Antonio può essere stata vissuta dagli abitanti più o meno convintamente, ma quello che rimarrà un punto fermo era la volontà di fare qualcosa come testimonianza del desiderio di unione, nella voglia di costruire il futuro. Ricordo gli incontri avvenuti in casa nostra per organizzare il da farsi. Il primo risultato fu un capitello un po’ anomalo. Arrivò la statua di Sant’Antonio in gesso dipinto con la veste marrone e il giglio con il fiore e il gambo di un bianco e di un verde molto decisi. Bisognava proteggerlo dalle intemperie e allora si provvide a fare una copertura in legno e muratura con una porta in rete a trama stretta. Dopo circa un anno, la statua di Sant’Antonio cominciò a sbriciolarsi.
Gli abitanti vicini si diedero da fare per la costruzione di un nuovo capitello, dividendosi i compiti, col benestare del Parroco. Ricordo il papà che, tornando a casa, portava notizie inerenti alla nuova scultura in pietra.
Il capitello fu completato, montato e venne il giorno dell’inaugurazione, che era un 13 giugno, l’anno non lo ricordo. Il nuovo capitello era tutto in pietra, aperto ad archi sui tre lati e aveva la copertura piana, con la statua del Santo collocata all’interno, bella e dignitosa.
Davanti a casa nostra, separato dalla strada, c’era un cortile che si prestava ad accogliere tavoli e sedie per fare un rinfresco. Il Parroco, ad ogni ricorrenza della festa del Santo, partecipava guidando le preghiere, facendo un riassunto della storia di Sant’Antonio e benedicendo il pane, dal sapore unico, fatto da “Ocimo fornaro”.
Costruito il secondo capitello, nessuno sapeva come utilizzare la casetta in legno fatta per proteggere la prima statua e papà pensò di metterla a ridosso della nostra casa, sotto la pianta del fico. Rimasta lì per qualche tempo, diventò la dimora di un coniglietto che, alla mia vista, schiacciava il naso alla rete aspettando un po’ di erba.
L’ordine, la pulizia e la cura dei fiori erano affidati alle donne, ma anche noi bambini facevamo qualcosa: Arduino, mio fratello, ebbe l’incarico di andare a pulire la statua del Santo. Una volta lo sentimmo gridare in modo convulso e non capimmo cosa fosse successo. Aiutato a scendere e calmato si capì che era stato punto sul collo tre volte dalle vespe.
La differenza di credo politico si poteva dedurre anche dalla frequentazione delle persone alle cerimonie religiose. Vidi alcuni, che credevo convintamente distanti dalla Chiesa, partecipare a riti religiosi oppure accodarsi alla processione con il cappello in mano. Ero un bambino incapace di cogliere i significati.
Ad oggi posso pensare che quel capitello sia stato un segno di ricostruzione sociale e base di nuovi rapporti.
Adesso, questi ricordi hanno il potere di commuovermi.
(PG) In Parrocchia era stata costituita in data 13 giugno 1899 l’Associazione del Pane di S. Antonio ( da “Visita di Mons. Ferdinando Rodolfi” del 15 gennaio 1916)
Da alcuni ricordi paesani la statua di Sant’Antonio potrebbe essere opera di Piero Morseletto:
I simboli di Sant’Antonio sono: il libro in mano, simbolo della sua scienza, della sua dottrina, della sua predicazione e del suo insegnamento sempre ispirato al Libro per eccellenza: la Bibbia. Il giglio rappresenta la sua purezza e la lotta contro il male. Il Gesù Bambino ricorda la visione che ebbe a Camposampiero. Esprime, inoltre, il suo attaccamento all’umanità del Cristo e la sua intimità con Dio. Quando c’è anche il pane, esso ricorda la carità del Santo verso i poveri. Il saio francescano (bruno o nero) ricorda la sua appartenenza all’ordine francescano. A Monteviale, nella versione del “primo” capitello, la statua in gesso con suoi colori accesi dava risalto al saio e al giglio. La “seconda” versione evidenziava il giglio e Gesù Bambino. Quella attuale presenta il giglio e la Bibbia.
Capitello Sant’Antonio 13 giugno 2022
[…] Del resto, il “capitello” come manufatto, è molto diverso dalla semplice croce rurale o dai comuni oggetti degli ex voto: è sempre un fatto comunitario, anche quando si estrinseca attraverso la volontà del singolo, partecipa della storia del paesaggio veneto, ha caratteri ambientali, né esaurisce la sua funzione della consegna del dono al santuario […] Essi erano edificati per corrispondere a un’esigenza precisa, circoscritta, collettiva: così poteva essere costruito nei luoghi che stabilivano i confini tra i comuni e le contrade. I più antichi agli incroci delle vie. In una parola erano inseriti nella rete viaria creata dai romani. […] Molti “capitelli” vengono edificati nei secoli delle grandi carestie o epidemie. […] Solitamente, all’origine dell’edificazione di un “capitello” c’era una volontà popolare, l’atto di una collettività rurale, contadina o artigiana o borghese, d’accordo con il parroco, anche se il “capitello” fa storia a sé, non entrando in senso stretto nella struttura e nell’organizzazione parrocchiale. Rarissimamente si parla di questi piccoli monumenti nelle visite pastorali, almeno fino al XIX secolo. […] Al loro mantenimento provvedono i locali, coloro che l’hanno voluto. […] Il capitello divenne così qualcosa che apparteneva intimamente al paesaggio o meglio alla storia tutta segreta di questo rapporto, tra la terra e il senso creaturale del devoto, pellegrino o abitante del luogo che fosse. Il capitello non nasce dalla storia dell’arte, non è il prodotto di un’aristocrazia intellettuale, non è il segno di una egemonia urbana: ma la manifestazione di una pietà attiva, spontanea, popolare attraverso la quale si attua una specie di sacralizzazione del territorio. […] Perciò è importante la loro tutela, la loro conservazione, la loro cura, perché in esso si riflette molta storia della pietà veneta, in esso si riconosce tanta parte della vita quotidiana delle popolazioni locali, in esso è da ravviare infine uno dei più singolari e imponenti patrimoni della cultura e della religione popolare di quanto se ne conoscano in Italia e in Europa. […] ( da “I “capitelli” e la società religiosa veneta ” a cura di Istituto per le ricerche di storia sociale e di storia religiosa)
Con riferimento ai capitelli del nostro paese, resta da risolvere un piccolo “mistero”. In questa mappa (che dovrebbe risalire al 1890/1900), evidenziate in rosso, sono visibili due croci. Sembrerebbero essere posizionate in corrispondenza dei capitelli di Sant’Antonio e della Madonna. Quindi, i due capitelli originari potrebbero appartenere a quell’epoca o essere addirittura antecedenti? Qualsiasi informazione potrebbe essere utile.