“Il casolare dei Dani [attuale abitazione della famiglia Soster] sorgeva accanto alla strada principale, dritta e bianca. Il cancello non aveva il numero civico. La facciata dava sulla corte, che si assottigliava fino a diventare un vialetto. Di fianco al casolare, si allungavano un padiglione e una stalla. Dentro al padiglione, sotto un continuo vapore leggero, Vittorio Dani coltivava i bachi da seta, i “cavalieri” li chiamava. Comperava le minuscole uova verso la fine d’aprile, all’epoca della festa di San Marco, le stendeva su di un panno gigante di lana, quando stavano per aprirsi vi allargava sopra dei fogli di carta bucherellata. In pochi giorni nascevano un’infinità di bruchi affamati, che risalivano i forellini separandosi dalle uova. Da quel momento in famiglia, si davano il turno per aiutarlo. Il lavoro consisteva nel raccogliere pazientemente i vermetti per disporli su dei graticci assieme a delle foglie di gelso tritate, usate come cibo e, allo stesso tempo, controllare che non si scatenasse un’epidemia. Alla fioritura dei ciliegi, anni addietro, ci fu una tale moria da doverli bruciare tutti. La cernita avveniva nella prima settimana di giugno, richiedeva un’attenzione spossante: per ore e ore si dividevano i bozzoli buoni da quelli andati a male. Una volta finito, li si gettava in pentoloni d’acqua bollente per uccidere gli insetti al loro interno, se no sarebbero usciti in farfalle, bucando e rovinando il filo in seta, lungo più di un chilometro per ogni involucro.”
Così Bruna Dani descrive la lavorazione dei bachi da seta nel libro a lei intitolato e scritto dalla figlia Annamaria Cielo.
Di solito, seguire i bachi da seta era un’incombenza prettamente femminile e rappresentava un introito economico per il povero bilancio famigliare.
Nel caso specifico di Vittorio Dani, da un “Annuario generale d’Italia – Guida Generale del Regno – del 1935” , nel comune di Monteviale, alla voce “Seme bachi – (Rapp.)” viene indicato l’ex podestà Vittorio Dani. Quindi, la gestione dei bachi, rappresentava comunque un’attività economica affiancata a quella delle miniere e della cava di calce.
Per allevare i bachi da seta bisogna per prima cosa comperare le uova: di solito si trovano al mercato, dove te le vendevano in pacchettini di carta bucherellati. Questi pacchettini venivano posti sul letto matrimoniale, in fondo ai piedi sul “trapuntin” e venivano coperti di foglie di gelso: i bachi, attraverso i buchi del sacchetto, sentivano l’odore del gelso e uscivano dalle uova. Questa era un’operazione che durava circa otto giorni. Quando tutte le uova si erano aperte, i bachi venivano trasferiti sul “letto dei bachi”, un arnese preparato apposta per riceverli. Lì restano per due settimane e intanto crescono mangiando le foglie di gelso: bisogna ogni giorno portare foglie, tante, fino a coprirli. Quando sono belli grossi si portano nel “granaro” sopra un letto di “fassine di spinarolo”, chiamato “bosco”, e qui i “cavalieri” costruiscono i bozzoli di seta. Perché il baco sia pronto, bisogna vedere il suo involucro luccicare: allora si stacca il bacco dal ramo e si va a venderlo al mercato. Il compratore deve stare attento a ricavare la seta prima che la farfalla esca fuori dal bozzolo rovinando e rompendo in questo modo tutto il filo. [ricerca degli studenti di II° media di Monteviale il 28 aprile 1983]
Nelle campagne, come pure nelle valli delle colline fino a circa 700 metri d´altitudine e, in posizioni soleggiate, era molto diffuso nei primi decenni del secolo scorso un albero originario della Cina e dell´India che fu introdotto in Italia nel secolo XV: si trattava del gelso bianco, l´unico albero al mondo coltivato per fornire nutrimento al preziosissimo baco da seta.
Nei ricordi degli anziani di Monteviale, nell’edificio della Trattoria Baruffato, le donne del paese andavano a vendere i propri bozzoli che poi, a loro volta, venivano portati alle filande diffuse nel territorio.
Un’alternativa era quella di vendere direttamente agli “agenti” dei Setifici che circolavano periodica nei territori comunali per effettuare la raccolta dei bozzoli.
E’ interessante inoltre sapere che il recupero della lunga storia della lavorazione della seta e dell’abilità dei vicentini in tale arte è dovuta agli studi di Bernardo Morsolin, storico, nato a Gambugliano nel 1834, quando Monteviale era una frazione di detto comune.
Fonti: All’ombra dell’olmo di Caliaro * Furlani * Groppo
Bruna di Annamaria Cielo